DIETA MEDITERRANEA DIETA MEDITERRANEA

patrimonio immateriale dell'umanita'

Il 2020 è un anno importante per la nostra cultura alimentare. In novembre, infatti, ricorre il decimo anniversario dell’inserimento della Dieta Mediterranea nella lista dell’UNESCO dei beni immateriali dell’umanità.


Tutti noi, ormai da anni, sentiamo parlare dei benefici personali e collettivi che questo modello alimentare offre e il concetto diventa ancora più evidente se analizziamo la definizione che proprio l’UNESCO ne ha dato:


“La Dieta Mediterranea comprende una serie di competenze, conoscenze, rituali, simboli e tradizioni concernenti la coltivazione, la raccolta, la pesca, l’allevamento, la conservazione, la cucina e soprattutto la condivisione e consumo di cibo. Mangiare insieme è la base dell’identità culturale e della continuità delle comunità nel bacino Mediterraneo. La Dieta Mediterranea enfatizza i valori dell’ospitalità, del vicinato, del dialogo interculturale e della creatività e rappresenta un modo di vivere guidato dal rispetto della diversità. Essa svolge un ruolo vitale in spazi culturali, festival e celebrazioni riunendo persone di tutte le età e classi sociali; include l’artigianato e la produzione di contenitori per il trasporto, la conservazione e il consumo di cibo, compresi piatti di ceramica e vetro. Le donne giocano un ruolo fondamentale nella trasmissione delle conoscenze della Dieta Mediterranea”. (fonte unesco.it)


L’attenzione alle modalità di alimentazione della popolazione del bacino del Mediterraneo fu rivolta, all’inizio del ‘900, da diversi studiosi, tra cui, nel 1939, l’italiano Lorenzo Piroddi, il quale ipotizzò potesse esistere una relazione tra dieta e malattie metaboliche, tanto che fu uno dei primi nutrizionisti ad elaborare una dieta specifica per i suoi pazienti, volta a limitare il consumo di grassi animali e privilegiare quelli vegetali.


Successivamente, a partire dagli anni ‘50, fu il nutrizionista americano Ancel Keys, con la collaborazione di studiosi italiani, spagnoli, greci, giapponesi e successivamente anche di altri Paesi, a portare avanti una serie di studi di popolazione che diedero al modello della Dieta Mediterranea una base scientifica riconosciuta a livello mondiale. Grazie al suo studio Seven-Countries-Study, Keys riuscì a dimostrare la correlazione tra lo stile alimentare di una determinata popolazione e l’incidenza delle malattie cardiocircolatorie nella stessa.


L’idea, nella mente dello scienziato, nacque durante un viaggio in Italia, in occasione di un convegno internazionale sulla nutrizione, dall’osservazione della bassa frequenza delle patologie cardiache tra gli abitanti di certe Regioni del Sud Italia, abituati ad alimentarsi in maniera semplice, per lo più con prodotti della terra, frutta, ortaggi, olio di oliva, semi e legumi, tipica delle comunità rurali di allora.


L’innovatività del metodo di indagine del Seven-Countries-Study fu proprio nell’idea di analizzare lo stato di salute di una determinata popolazione, mettendolo in relazione con la cultura propria di quella determinata area geografica. Uno studio pionieristico, che dimostrava come il dilagare del consumismo e l’enorme disponibilità alimentare, tipica del mondo Occidentale (soprattutto degli Stati Uniti d’America), a partire dal dopoguerra, fossero la causa primaria del diffondersi delle patologie “del benessere” (sovrappeso, obesità, ipercolesterolemia, ipertensione, ecc).


I dati raccolti attraverso questi studi hanno gettato le basi scientifiche su cui ancora oggi sono improntate le politiche di salute pubblica e le campagne di prevenzione di molti governi del mondo Occidentale, politiche volte sia a sensibilizzare il singolo individuo sui benefici personali di un corretto stile alimentare, sia a cercare di ridurre l’incidenza delle malattie cronico-degenerative a livello dell’intera popolazione.


Se analizziamo la cosa in termini di vantaggio per la salute pubblica, possiamo facilmente capire come il benessere legato al modello della Dieta Mediterranea si espanda dalla singola persona a tutta la collettività. E arriva anche oltre.

 

Basti pensare agli enormi benefici che può trarre l’ambiente da uno stile di alimentazione basato su prodotti naturali, per lo più di origine vegetale, per nulla o poco processati, consumati a pochi chilometri dalle zone di produzione.

 

Parliamo quindi di una condotta alimentare che risulta a basso impatto ambientale e che conduce ad un enorme risparmio di risorse naturali, grazie ai bassi livelli di consumo di acqua e di energia, alla notevole riduzione di emissioni di CO2, e delle risorse territoriali impiegate nei processi di trasformazione degli alimenti.

 

Un modello alimentare di fatto ecosostenibile.

 

Ecco come un patrimonio immateriale dell’umanità può trasformarsi in una risorsa tangibile per preservare le risorse della Terra, attraverso le scelte che ognuno di noi compie quando ogni giorno decide quali alimenti acquistare e mettere in tavola.

Affondare le radici nella nostra cultura diventa così, per tutti, un mezzo efficace per mantenerci in salute e contemporaneamente preservare il cuore del nostro Pianeta