IL FUTURO DELLA MODA PASSA ATTRAVERSO I FUNGHI ?

Sembra giĆ  tramontata l'era, molti fondi si ritirano per investire nelle A.I.

Continua la frenata dei materiali bio-based. Solo qualche mese fa un rapporto pubblicato dal think tank Material Innovation Initiative denunciava un calo di investimenti per il comparto dei materiali next-gen, definizione che include pelli vegane o di origine vegetale e tutte le alternative non plastiche a poliestere e viscosa. A conferma, arriva ora da Vogue Business la notizia del fallimento del materiale Mylo, prodotto dalla startup statunitense Bolt Threads.

 

Progettato per essere un’alternativa al tatto e alla vista molto simile alla pelle di origine animale, Mylo veniva generato a partire dal micelio, l’apparato vegetativo dei funghi, ed è stato protagonista degli esperimenti eco-friendly di maison quali Stella McCartney, storicamente dalla vocazione green, ed Hermès o colossi dello sportswear come Adidas.

 

“Non siamo immuni alle stesse pressioni macroeconomiche che tutti gli altri stanno affrontando, quindi abbiamo messo in pausa Mylo per rivalutare cosa funziona e cosa funzionerà in futuro”, ha raccontato alla testata statunitense Dan Widmaier, CEO dell’azienda specializzata in materiali alternativi, il cui portafoglio proseguirà nella propria produzione nonostante lo stop di Mylo.

 

Dietro il fallimento della nota ‘finta pelle’ ci sarebbero quindi le criticità dello scenario globale e lo spostamento dell’interesse di mercati e investitori verso altri orizzonti, nonostante l’iniziale consenso diffuso ricevuto in qualità di ‘acceleratore’ della transizione green nel mondo della moda e del lusso. Tra questi, racconta Widmaier, la frontiera dell’intelligenza artificiale, tra le nuove grandi scommesse del fashion e più in generale degli investitori.

 

Proprio sull’onda del successo dei materiali next-gen, dalla sua fondazione Bolt Threads aveva raccolto finanziamenti per 300 milioni di dollari. In seguito all’abbandono (forse temporaneo) di Mylo, avrebbe già disposto due cicli di finanziamenti, uno per ciascun trimestre del 2023 in corso.

 

Il manager non sembra però essersi arreso, ma è anzi possibilista su una eventuale ripresa della produzione dell’alternativa fungina alla pelle, qualora le condizioni esogene dovessero migliorare. Altrimenti, la tecnologia Mylo potrebbe essere ceduta a terzi, pur di non perdere quanto conquistato tra ricerche e riscontri di mercato tra le aziende del fashion.

 

Per il momento, la vicenda Mylo sembra comunque confermare il carattere ancora controverso delle nuove frontiere vegetali della pelle, aspramente osteggiate dai player che della pelle animale difendono gli interessi; nel Belpaese in prima linea c’è Unic-Concerie Italiane, che ne sottolinea le ancora numerose criticità, a partire dagli altissimi costi e dalle prestazioni definite ancora non all’altezza della pelle tradizionale.

 

E poi c’è il tema dell’attrattività sui consumatori: l’audience del lusso potrebbe non essere ancora pronta a investire in materiali green, sebbene innovativi e tecnologicamente sofisticati, ben diversi dalle ‘pelli’ plastiche che hanno ben poche somiglianze con quelle animali. Tuttavia, è verosimile che il territorio delle pelli bio-based resti ancora per un po’ tra quelli che vivono maggiore fermento su cui giocare la partita della sostenibilità: dal 2015 a oggi i cosiddetti materiali di nuova generazione hanno attirato investimenti globali per 2,3 miliardi di dollari (circa 2,1 miliardi di euro), una cifra indice di una portata che difficilmente scemerà in breve tempo. Ma le avvisaglie per pensare a un fuoco di paglia hanno già fatto capolino.